Gli strumenti di videosorveglianza sono talmente entrati nell’uso quotidiano che lo stesso legislatore, ad esempio nel recente Job Act, ha preso atto di questa novità.
In altre parti del globo, si rinvengono norme analoghe alla nostra e norme che pur non attenendo, strettamente alla videosorveglianza, lasciano spazio a forme di sorveglianza differenti. Accanto al quadro regolamentare non può che porsi l’osservazione di fenomeni empirici, che vanno dalla routine in voga in alcuni istituti scolastici del Nord America di richiedere la password del profilo Facebook degli studenti al fine di verificare la corrispondenza alle policy della scuola, ai falsi account dei social network utilizzati per sventare le truffe alle Compagnie di assicurazione, fino alla pervasiva presenza di strumenti di controllo come badge (sia per l’ingresso in azienda che per l’ingresso in aree ad elevata sensibilità), georeferenziazione dei veicoli utilizzati dalle persone, valutazione e indicazione in real time dei percorsi più brevi, valutazione al secondo dei tempi necessari per la prestazione di un servizio.
Infine, occorre porre in evidenza che le informazioni dedotte dall’attività di sorveglianza vengono messe a disposizione (quando non sono raccolte direttamente dagli stessi) di soggetti che non sono super partes (datori di lavoro, agenzie governative, società di servizi) e che questi soggetti non rilasciano, come contropartita, una corrispondente quantità di informazioni né ricompensano (non solo in termini monetari) adeguatamente le informazioni rese loro disponibili.